Khaled Hosseini, Il cacciatore di aquiloni (Afghanistan)

Khaled Hosseini, Il cacciatore di aquiloni (tit. originale The Kite Runner), Piemme, Casale Monferrato (AL) 2004. Traduzione di Isabella Vaj. 390 pagine.

Mi sono avvicinata a questo libro con una certa dose di scetticismo perché, a parte rare eccezioni, non amo i romanzi osannati da tutti. Pensavo che fosse insipido e bruttino, invece ho scoperto che questo libro fa parte delle rare eccezioni di cui sopra. È infatti un libro molto bello e toccante, per niente insipido e nemmeno troppo mainstream, a dire il vero. Ho letto recensioni negative, ma penso che molto spesso le recensioni negative siano dettate dal famoso “conformismo dell’anticonformista”, per cui bisogna andare controcorrente a tutti i costi, essere sempre contro l’opinione comune. Poi non nego che ci sia anche la questione gusto personale, che è sacrosanta, ma a me questo romanzo pare oggettivamente bello, e per niente ammiccante, anzi.

La storia che racconta è molto dura, ed è quella di Amir e Hassan, sullo sfondo un Afghanistan prima libero e poi martoriato dalle guerre e dalle occupazioni. Amir è un personaggio insopportabile, va detto, e la prima sera non mi ha fatto nemmeno dormire la sua terribile viltà. Verrebbe voglia di farlo uscire dalle pagine e prenderlo a schiaffi, perché va bene che non tutti possiamo essere coraggiosi, ma così è veramente troppo, anche perché Amir è pure meschino oltre che vigliacco. Ma bisogna in tutti i modi cercare di andare avanti e di sopportare questo protagonista insopportabile, perché il romanzo merita davvero. La storia penso che sia nota, ma la riassumo brevemente. Amir e Hassan sono amici, ma Amir non lo dirà mai, perché Hassan è di etnia hazara, quindi sciita, quindi da lui considerato inferiore, tanto più che è il figlio del suo servo. Hassan farebbe qualunque cosa per Amir, ma certo non si può dire che Amir ricambierebbe, anzi. Amir gioca con Hassan, vive tutta la sua vita con lui, ma lo prende in giro e non lo difende mai, fino ad arrivare all’assenza di difesa suprema, quando Hassan verrà offeso nella sua dignità umana e Amir non muoverà un dito per lui. In seguito, molti anni dopo, quando ormai Amir è emigrato in America in seguito all’occupazione sovietica dell’Afghanistan, un amico di famiglia lo richiama in Pakistan (dove si è trasferito per avere delle cure) e gli dice che non è mai troppo tardi per rimediare ai propri errori. Qui ha inizio la seconda parte del libro, in cui il protagonista tenta di riscattarsi.

Sullo sfondo c’è la storia di un paese, l’Afghanistan, che la gente della mia età ha sempre conosciuto come martoriato, ma che un tempo è stato libero. Un tempo in cui erano permesse le gare di aquiloni, poi vietate dai talebani, in cui si poteva ascoltare musica, fare feste, perfino bere, anche se magari non proprio alla luce del sole. Quel tempo è finito con l’arrivo dei russi primi, dell’Alleanza del nord poi, dei talebani ancora dopo e infine degli americani con la loro guerra al terrorismo post-11 settembre. Tanto che quando Amir torna in Afghanistan nel 2001 trova una Kabul irriconoscibile, piena di povertà e di mendicanti, di macerie, di donne col burqa e di talebani dalle barbe lunghe. Leggere della differenza fra prima e poi fa rabbrividire, figuriamoci come possa essere vivere una situazione del genere.

Un libro che mi sento di consigliare a tutti, suggerendovi di avviarvi alla lettura senza pregiudizi di sorta.

Per approfondire:

* Il sito italiano dedicato a Hosseini
* Il libro sul sito dell’editore
* Il trailer del film tratto dal libro
* La storia dell’Afghanistan su Wikipedia

Recensione di Sonnenbarke.

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